Su 100 persone almeno 10 sperimentano, nel corso della vita, un attacco di panico. Solo 2 o 3, in seguito, svilupperanno un disturbo di panico*. Che differenza c’è?
Un attacco di panico è un episodio di paura molto molto intensa. I sintomi sono quelli della reazione di attacco o fuga, cioè quello che il mio corpo fa quando percepisce un pericolo: quindi principalmente aumento della frequenza cardiaca e aumento della respirazione. Fin qua, niente di diverso da “la solita ansia” o da “la solita paura”. Quando sperimentiamo un attacco di panico però succede qualcosa in più: percepisco i sintomi della paura e inizio a pensare che siano pericolosi, e che potrei:
- svenire,
- soffocare,
- vomitare,
- perdere il controllo o impazzire,
- avere un infarto o un ictus,
- morire.
Questi pensieri mi spaventano ancora di più. Aumenta la paura ed aumentano di conseguenza i sintomi: la frequenza cardiaca e la respirazione aumentano ancora di più, e iniziano a comparire sintomi nuovi (tremori, nausea, dolori al petto…). Questo a sua volta fa aumentare la convinzione che qualcosa di terribile stia davvero accadendo… Ed ecco che si è innescato il tipico circolo vizioso del panico. La paura è così intensa che di solito l’attacco di panico vero e proprio termina in circa mezz’ora.
Una volta sperimentato un primo episodio di panico, posso reagire in due modi. Nel primo caso, penso che ho provato la paura più grande della mia vita e meno male che è andata. Nel secondo caso penso che ho provato la paura più grande della mia vita… E inizio ad avere paura della paura, cioè a preoccuparmi della possibilità che possa arrivare un altro attacco, e a mettere in atto una serie evitamenti e comportamenti, che vengono chiamati comportamenti protettivi, che mi permettono di ridurre le probabilità di vivere di nuovo un attacco di panico, in particolare in situazioni in cui sarebbe difficile, pericoloso o imbarazzante: questo è il disturbo di panico.
Gli evitamenti consistono nell’evitare situazioni in cui si potrebbe verificare un attacco di panico. Per esempio, se il primo attacco di panico mi è venuto al supermercato inizio ad evitare il supermercato. Evito magari di fare sforzi fisici, evito di frequentare posti che non conosco a meno che non ci sia qualcuno con me, evito di allontanarmi da casa. In alcuni casi questi evitamenti sfociano in un altro disturbo mentale che è l’agorafobia.
I comportamenti protettivi invece sono comportamenti che, come dice la parola, mi proteggono da un eventuale attacco di panico, e sono per esempio tenere in borsa medicinali di vario genere, cercare di rilassarmi o di respirare in un certo modo, cercare di distrarmi.
Evitamenti e comportamenti protettivi non fanno altro che mantenere vivo e vegeto il circolo vizioso. Come? Mettiamo che io abbia il primo attacco di panico al supermercato, e che da quel momento smetta di andare al supermercato: non sperimenterò più nessun attacco di panico, almeno per un po’. Questo rafforzerà, nella mia testa, l’equazione supermercato = attacco di panico. Che succederà quando dovrò andare al supermercato la prossima volta? Succederà che inizierò ad essere in ansia prima ancora di partire da casa, che l’ansia farà scattare la reazione di attacco o fuga, che a sua volta farà partire il mio circolo vizioso.
Il trattamento del disturbo di panico si basa quindi, come il trattamento di altri disturbi d’ansia come le fobie specifiche o l’ansia sociale, sull’esposizione alle situazioni temute: se, come abbiamo detto, l’evitamento è la benzina principale nel motore del panico, il modo migliore per uscirne sarà proprio affrontare ciò che si teme. Solitamente in psicoterapia, dopo una prima fase in cui si mette in discussione cioè che si pensa relativamente alla pericolosità dei sintomi, si affrontano le sensazioni fisiche temute facendo, insieme al terapeuta, degli esercizi che provochino le sensazioni temute: ad esempio, si mette la testa in giù per sperimentare la sensazione di vertigine o si corre sul posto per sperimentare la tachicardia. A quel punto si è pronti, gradualmente, ad eliminare evitamenti, comportamenti protettivi, e a ricominciare a vivere.
* Ecco i criteri necessari per fare la diagnosi di disturbo di panico secondo il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – quinta edizione 2013; American Psychiatric Association):
- Ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Un attacco di panico consiste nella comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si verificano quattro (o più) dei seguenti sintomi:
- Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia.
- Tremori fini o a grandi scosse.
- Dispnea o sensazione di soffocamento.
- Sensazione di asfissia.
- Dolore o fastidio al petto.
- Nausea o disturbi addominali.
- Sensazione di vertigine, instabilità, di “testa leggera” o di svenimento.
- Brividi o vampate di calore.
- Parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio)
- Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi).
- Paura di perdere il controllo o di “impazzire”
- Paura di morire.
- Almeno uno degli attacchi è stato seguito da un mese (o più) di uno o entrambi i seguenti sintomi:
- Preoccupazione persistente per l’insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”).
- Significativa alterazione disadattiva del comportamento correlata agli attacchi di panico, come l’evitamento dell’esercizio fisico oppure di situazioni non familiari).
- L’alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o di un’altra condizione medica.
- Gli attacchi di panico non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale.